domenica 25 settembre 2011

SIG.VESCOVO DI VERONA GIUSEPPE ZENTI.....

Una passeggiata fino alla chiesetta romanica di sant’Emiliano di Padenghe del Garda, passando accanto al castello-ricetto sull’altura, è cosa gradevole in questo inizio d’autunno. Meno gradevole è scoprire che sono ormai stati portati a termine i lavori di ampliamento di una preesistente piccola costruzione staccata dal complesso antico. Nonostante le veementi proteste di un comitato e anche le resistenze dell’attuale amministrazione guidata dalla brava sindaca Patrizia Avanzini, il vecchio parroco ha raggiunto ormai il suo scopo: organizzare un ristorante accanto alla struttura romanica in un’area ancora incontaminata e con vista mozzafiato sul lago. Non sarà certo per qualche matrimonio con relativo pranzo che sono stati spesi i soldi per un ristorante di discrete proporzioni! Fatti due conti chi pagherebbe l’affitto senza ricavi certi e ampi? Il parroco sa benissimo che l’amministrazione comunale non intende concedere il benestare per un adeguato parcheggio a due passi dalla chiesetta. E allora? In questo Paese, in questa regione ciellina leghista, dove, tra l’altro, la laicità dello Stato è da sempre in forse, il clero sa bene dove trovare i….santi in Paradiso. Cioè don Negretto non avrà certo speso tanto denaro per un ristorante che non sia in grado di offrire ai suoi clienti un posto auto temporaneo a due passi dal coperto. Prima o poi…. Un giro in paese è oltremodo istruttivo. In un negozio, dall’edicolante, in un bar, c’è sempre qualcuno, o lo stesso proprietario, che ti racconta il fatto: don Negretto non ha voluto i monaci di Bose che gli avevano chiesto di poter aprire, usufruendo della piccola struttura accanto alla chiesetta, un centro di studi biblici. Come? Chiedendo loro un affitto esorbitante. In un’edicola del paesino ho trovato la rivista Jesus con in copertina la foto dei monaci di Bose nella loro chiesa durante una funzione liturgica e il titolo: ” la Comunità di Bose, Monaci dell’età secolare”. Un servizio ampio, di tanti articoli e foto, per descrivere questa fondazione monastica degli anni sessanta, fondata da ENZO BIANCHI nella Serra Morenica tra Ivrea e Biella, recuperando fin dall’inizio la chiesetta romanica di San Secondo e una struttura contadina assai fatiscente. Così la ricordo anch’io perché ci andai proprio nei primi anni, quando bisognava portarsi dietro il sacco a pelo e sfoderare un buon senso di adattamento. Già nel 1968 Bianchi elaborò le tracce di questa “chiamata” monastica per donne e uomini a carattere ecumenico. Una delle regole prevedeva di vivere del proprio lavoro. San Benedetto, San Francesco, i Padri del deserto, ma anche Charles De Foucauld e il teologo protestante Bonhoeffer, ispirarono Enzo Bianchi e i suoi primi compagni e compagne. Si discuteva apertamente in quei tempi animati del dopo Concilio, e anch’io e lui lo facemmo una discussione sulle pagine del mensile TESTIMONIANZE diretto da padre Ernesto Balducci. Non ricordo ora cosa avevo criticato in un articolo dopo la mia visita. Poi, quando ci incontrammo ad Assisi alla Pro Civitate Cristiana (inizio anni ’80), lui relatore al Corso Studi Cristiani di agosto ed io inviato del quotidiano IL MANIFESTO, disertammo felicemente la cattiva cucina del ristorante dei “volontari” della P.C.C. per una “buca” nel bellissimo centro storico dove si mangiava umbro veritiero. Enzo sapeva gustare la buona cucina, come d’altronde la grande contemplativa e monaca Teresa d’Avila. Ora Bose è una realtà complessa perché i monaci e le monache sfiorano il n. di ottanta e le attività sono tante, dal lavoro della terra per coltivare frutta e trasformarla in marmellata, al lavoro di studio, approfondimento teologico e biblico; e cura dell’ospitalità. Si legge nel n.9 di Jesus (p.58) che loro, i monaci, sono una “presenza cristiana che non fa proselitismo, ma è lì, in ascolto e preghiera…”. Se il parroco di Padenghe avesse accolto la loro discreta presenza, l’ambiente naturale che ancora si presenta intatto intorno alla chiesetta, ne sarebbe stato valorizzato, insieme alla possibilità di offrire un luogo di sosta, di preghiera per i credenti, di silenzio consapevole per chiunque. Ma anche di apertura della chiesa ora ermeticamente chiusa. Avrebbero tutelato un luogo antico di umanesimo e di fede, fornito uno sprazzo di speranza contro la deriva distruttiva della vita: alberi, erba, pietre antiche, antiche e nuove parole; capacità di ascolto, silenzi cercati e trovati in queste zone dove il consumo di suolo e di verde , il rumore e l’agitazione convulsa, hanno raggiunto livelli intollerabili. Padenghe appartiene alla diocesi di VERONA: non potrebbe il Vescovo offrire questa struttura, sebbene in ritardo, ai monaci di BOSE senza altra contropartita che la loro presenza?

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