LA FINE DELLA GUERRA VISTA DAI BAMBINI

Gli anni dalla fine del secondo conflitto mondiale sono già ottanta e una domanda sorge spontanea: chi ancora può raccontare come testimone l’immane tragedia? Qualche centenario e centenaria tra i partigiani e pochi ormai anche tra anche coloro che ricordano i terribili, distruttivi bombardamenti sulle città, sui treni; in aggiunta alla fame, e ai soprusi delle forze militari occupanti dopo l’8 settembre 1943. Gli ultimi a ricordarono allora erano dei bambini o degli adolescenti; dopo la fine del conflitto,né una maestra, nè un parroco, né un genitore si chiesero se soffrivano di stress post traumatico. Altri tempi! Ma sono importanti , ottanta anni dopo, i brandelli della loro memoria fatti di immagini aggiunte ai racconti di padri,madri e fratelli piu’ grandi? Di solito i ricordi della mente infantile non precedono i tre anni di età. I miei però datano dai quattro . Non ho alcun ricordo di Fiume, della caserma della Guardia di Finanza a Drenova in stile austroungarico,ai confini con la Jugoslavia, raggiunta nell’autunno del 1940 da Pola, quando avevo sei mesi . Non ricordo il viaggio verso il Friuli, destinazione Cordovado provincia di Udine nel 1944. La mia memoria di bambina ha inizio in terra friulana, in una casa colonica di fronte alla scuola elementare, appena fuori dall’antico borgo. Una cucina al piano terra e una stanza per i genitori e due bambine al primo. Un gabinetto in comune con altre famiglie. I bambini smisero di andare a scuola perché erano arrivati i tedeschi che usarono le loro aule come camerate. Mia mamma mi ordinò di non accettare nulla dai soldati e di rispondere,a eventuale domanda, che in casa non c’erano biciclette. La bici nera e cromata Bianchi della mamma, che si era portata dietro appena sposata con il brigadiere faentino, da Cervia a Portorecanati, poi a Pola, quindi a Fiume,era stata smontata e nascosta nel granaio. In tedeschi in disfatta non se la passavano bene e ,nel piazzale antistante la scuola, un soldato aveva allestito il suo laboratorio di falegname e offriva servizi alla popolazione. La mamma si fece costruire una stia per il maialino che aveva acquistato e teneva nel cortiletto interno. Un piccolo investimento che sarebbe tornato utile sicuramente. Con il mio piccolo gruppo di bambini e bambine tra i tre e i 6 anni andammo a curiosare nel cortile interno della scuola, dove c’erano le cucine per la truppa. Un tedesco ci offrì pane nero con patate lessate e zucchero. Nelle case si mangiava il necessario o quasi, di piu’ in quelle contadine ma meno noi, “militari”, dotati della sola tessera annonaria: ma quel gusto strano di pane e patate zuccherate lo disdegnammo. Il suono lungo e lugubre della sirena per allertare di un imminente bombardamento, precedeva quasi sempre la corsa in campagna, dove la mamma buttava dentro un fosso una coperta e ci faceva saltare sopra coprendoci con il suo corpo. Non voleva andare nei rifugi forse per claustrofobia. Giunse la primavera del 1945 e un giorno i tedeschi, davanti alla cucina , caricarono sul camion dei giovani per usarli come ostaggi nella fuga imminente verso il confine austriaco. A me venne la febbre alta per la paura che caricassero sul camion anche la mamma. Con il mio solito gruppo di curiosi ci accorgemmo che nel cortile interno della scuola i tedeschi avevano scavato della grandi buche e vi seppellivano delle armi, come le mitragliatrici. Se ne accorsero e ci cacciarono via in malo modo. Arrivarono gli americani e si insediarono nelle aule. Era sicuramente un pomeriggio tra il fine di aprile e il l’inizio di maggio. Udine venne liberata il primo maggio. Trieste il due. La mattina presto quando la mamma scese in cucina,aperta la finestra sulla strada, vide due giovani soldati che giravano su e giù,impazienti. Appena si accorsero di lei sorridendo le allungarono due scatole di metallo dorato. In un italiano stentato le dissero “Per la bambina”. Quale? Una, entrambe? Quando io e mia sorella scendemmo i due dissero :”Quella!”Avevo grandi boccoli color tizianesco. E l’altra? “No, è un maschio”. Aveva i capelli ricci, corti. La cioccolata però venne soltanto utilizzata per rendere il latte della colazione più saporito. Ai bambini che si avvicinavano al camion distributore di bibite, vennero offerte bottigliette di aranciata e gomme americane. Mai viste, mai bevute! Nei giorni seguenti sfilarono jeep con sopra indiani con il turbante. Erano arrivati gli inglesi che presero il posto degli americani nelle aule. Ogni mattina,davanti alla cucina, dove parcheggiavano sei carri armati, si svolgevano gli esercizi ginnici ; poi ciascuno andava a fare qualche compito. William aveva 26 anni ed era il pilota di uno dei sei carri armati. Aveva fatto amicizia con noi e dopo la ginnastica mi portava con sé nel carro armato: mi forniva di uno straccio per lo spolvero ma io ero affascinata da tutto l’armamentario sopra e sotto, nella cabina di comando. Un giorno che il babbo era a casa, cioè non in caserma a san Vito al Tagliamento, mi volle portare a vedere i gelsi. I filari di gelsi, che a me parvero formare un bosco, erano davvero tanti. A quei tempi in Friuli la coltivazione del baco da seta era una delle maggiori attività. Anche la mamma aveva allevato dei bachi dentro una scatola da scarpe per farci conoscere il processo naturale per arrivare alla seta. Mangiai il frutto dei gelsi, e quel dolciastro mi è rimasto impresso anche perché la frutta era cosa rara. Dal boschetto, in quello squarcio tra maggio e giugno osservai, in una spianata, le numerose tende e i soldati canadesi. Eravamo stati liberati. Ma prima della liberazione i patriori della Osoppo, i partigiani Verdi, fecero prigionieri le Guardie di Finanza della brigata comandata da mio babbo e li tennero prigionieri per quaranta giorni nel cortile di una scuola. Quando li liberarono quasi si scusarono, perché non erano soldati fascisti repubblichini e neppure soldati in armi. La guerra però non era finita nel mondo. Un giorno partimmo a bordo di un camion con tutto il poco arredamento di camera e cucina: Io,la mamma e mia sorella in cabina con l’autista. La vendita del maiale friulano aveva fruttato i soldi per pagare il trasloco. Attraversammo paesi martoriati, con abitazioni rase al suolo o bucherellate dalle mitragliatrici. Al Po,sul greto, nei pressi di Ferrara, facemmo sosta. Giravano camion e jeep degli alleati: ci offrirono da mangiare? Arrivammo a Rubiera, dopo pochi chilometri da Modena. Ci attendeva la nonna con il figlio scapolo, ex repubblichino. La nonna era dovuta tornare al suo paese quando nel dicembre del 1943 i tedeschi occuparono Cervia e la sua casa era tra quelle che, sul mare, avrebbero voluto abbattere per avere una presunta maggiore difesa da un eventuale sbarco alleato. Avevano cacciato dalle case le poche famiglie del litoraneo, ma poi rasero al suolo soltanto la villa estiva del suocero dello zio,il fratello della mamma, lo scrittore e giornalista cervese Rino Alessi che abitava abitualmente a Trieste, dove era proprietario e direttote del quotidiano Il Piccolo. La guerra ebbe termine quando vennero rase al suolo due città giapponesi con le bomba atomica. Era estate e si stava in cortile:ricorso lo stupore sui volti degli adulti quando arrivò la notizia. Un misto tra sollievo per la fine del conflitto e la paura immensa generata dalla parola nucleare.

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