lunedì 29 luglio 2013

IL CALCIO SPORT MASCHILE E MASCHILISTA. TABU' PARLARNE.

Quel gesto del lancio delle banane alla ministra Cècile Kienge a Cervia il 26 lug. alla festa del PD dove parlava in un dibattito, ne ha ripetuto un analogo di qualche anno fa allo stadio. C’erano gruppi di tifosi che gettavano banane all’indirizzo dei giocatori neri. Come d’altronde è accaduto nelle giornate soleggiate di questa estate 2013 quando i tifosi hanno inveito contro un giocatore di pelle nera, e alcuni leghisti hanno, colonialisticamente, offeso ripetutamente la Kienge. Il giorno prima dell’arrivo alla festa Pd della Kienge, giovani di Forza Nuova hanno gettato nello spazio –dibattiti tre fantocci sporcati di rosso e una scritta: “No jus soli. L’immigrazione uccide.” Uccide che cosa? L’identità italica: “Tutelare l’identità italiana deve essere di primario interesse, in quanto rappresenta la forza da cui trae linfa la vita stessa del nostro popolo”. Le banane si gettano alle scimmie che le mangiano volentieri. La Kienge, ci ha detto l’on. leghista Calderoli, assomiglia a un orango. Gli uomini e le donne “di colore”, cioè africani, sono come le grandi scimmie. Dunque, se diventano italiani come la Kienge, inquinano la sacra identità italica. In più, dare un ministero a una donna è già uno sconvolgimento dell’identità nazionale basata sulla rigida divisione asimmetrica dei ruoli sessuali, che vorrebbe ancora le donne relegate nell’ambito del lavoro di cura. Insomma, intollerabile, da combattere anche con lo stile di lotta dei gruppi di tifosi del calcio. Il calcio è uno sport (uno sport?) prettamente maschile nella pratica e nella storia. E’ lo sport che separa dalla prima infanzia i bambini dalle bambine. E’ lo sport che trasmette la gregarietà e solidarietà di sesso sul modello delle guerre. I maschi tifosi appartengono a una squadra come si appartiene, o apparteneva, a una nazione. I segni identitari per le tifoserie vanno dall’abbigliamento alle bandiere. L’aggressività negli scontri tra bande di tifosi è anche, verbalmente e fisicamente molto violenta, simile alla violenza dei ragazzi bulli. Il calcio è lo sport per eccellenza che offre occasione di autorealizzazione virile in contrapposizione ai luoghi della cura di sé e degli altri, ai quali sono ancora indirizzate in modo privilegiato le femmine. E’ lo sport che considera il corpo come una materia da plasmare senza limiti di sorta. I bambini e i ragazzi che le dirigenze delle squadre nazionali giudicano idonei alla formazione, sono sottoposti a esercitazioni continue fino all’inserimento in collegi simili ai seminari per i futuri sacerdoti cattolici. I calciatori, essendo il calcio lo sport più vantaggioso in termini di guadagno , sono portati a trattare il proprio corpo come una qualsiasi macchina da “truccare” per farla rendere di più. Il calcio è lo sport più visibile, perché ogni giorno occupa un tempo preciso nei telegiornali. Non esiste l’equivalente di uno sport di sole donne. Diventare la ragazza di un grande calciatore è un sogno diffuso tra le giovani. Balotelli, il calciatore bresciano, probabilmente attrae l’aggressività della tifoseria anche perché è ricco e sciupafemmine. Uno “di colore”, cioè di razza inferiore, che “si fa “ le donne italiane, comunque bianche, suscita l’inconscio di stereotipi sessisti dei giovani italiani. I giovani e le giovani italiane sono cresciuti in famiglie dove, le mamme, alla domanda: ” il bambino soffre se la mamma lavora”, hanno risposto affermativamente per l’80% . I papà italiani si occupano del lavoro di cura per l’11 % contro il 57 % dei colleghi danesi. Questa forte asimmetria all’interno della famiglia, diversifica le relazioni significative e d’intimità, trasmettendo un bagaglio emotivo e cognitivo che va a confermare i modelli tradizionali e gli stereotipi sessisti. Ma, mentre si è propensi ad analizzare tanti settori e campi di azione, il calcio sembra un tabù intoccabile.

sabato 27 luglio 2013

"IL SIGNOR MINISTRO " C.KIENGE ALLA FESTA DEL PD A CERVIA TRA BANANE E STEREOTIPI

“il signore ministro Cecile Kienge “ per poco non si è preso in faccia alcune banane ,lanciate da un giovane durante l’incontro organizzato dalla Festa del Pd a Cervia venerdì 26 luglio. Prima del lancio delle banane e dell’arrivo della Kienge, giovani di Forza Nuova avevano gettato nell’area della festa tre manichini imbrattati di vernice rossa con un volantino contro lo jus soli. La Kienge è stata presentata dalla segretaria comunale Pd Daniela Rampini che l’ha salutata come “ministro”. L’ha fatto anche il coordinatore Giancarlo Mazzucca, direttore del quotidiano IL GIORNO, chiamandola “il signor ministro”. Il quale ha tracciato la storia ripetendo la diceria leghista di un’entrata entrata in Italia da clandestina; definendola poi “di colore”, stereotipo di stampo colonialista. La ministra ha rettificato un po’ indispettita perché è giunta trent’anni fa nel nostro Paese con un permesso di studio. L’on. Paola De Micheli del Pd arrivata con notevole, e giustificato, ritardo ha, a sua volta, definita la Kienge “di colore”. “di colore” è una definizione che si usa soltanto per i neri e che suona esplicitamente razzista. Anche il bianco è un colore, infatti la Kienge ha corretto il giornalista definendosi di “pelle nera”. Vale la pena ricordare che durante la prima emigrazione italiana negli Stati Uniti, i nostri emigranti erano definiti di “pelle olivastra”. L’insistenza nell’uso del neutro universale, cioè il maschile, applicato a una donna di origine straniera come la Kienge, marca con evidenza l’arretratezza mentale dell’Italia. Cioè, la difficoltà culturale a riconoscere alle donne, in quanto tali, il diritto di raggiungere ruoli importanti e di potere. Difficoltà delle stesse donne (vedi la segretaria Rampini) a legittimarsi il diritto di parlare, agire nell’ambito pubblico, a partire dalla propria soggettività storica; senza essere assimilata al modello maschile. D’altronde, pochi giorni prima alla festa del Pd della città rivierasca romagnola, si era svolto un dibattito sul femminicidio, coordinato da una giornalista di una Tv locale che si è ripetutamente definita come “un giornalista…”. Ci si chiede perché il Pd locale non ha invitato a condurre l’incontro con la ministra per l’emigrazione e l’Integrazione, un/una giornalista preparato/a su queste problematiche. E’ mancata, per esempio, una domanda assai opportuna, sull’argomento delle seconde generazioni di ragazze e sulla situazione, in genere, delle donne immigrate. La problematica dell’integrazione, assai complessa, non si può trattare in modo generico. Richiede un taglio di genere perché, tra l’altro, spesso in talune etnie le donne, le giovani donne, pagano il prezzo di essere considerate con il loro corpo, il segno dell’identità collettiva . E in quanto tali quindi controllate dagli uomini padri, mariti, fratelli in modi coercitivi se non violenti. Nel Pd sembra esserci un grosso deficit di formazione politica e culturale della dirigenza. E’ emerso esplicitamente nel comizio tenuto dall’onorevole piacentina, pragmaticamente brava, ma poco solida sul piano delle idee più generali, delle idee e dei concetti più generali.

lunedì 15 luglio 2013

E' PIU FACILE CHIEDERE LE DIMISSIONI CHE METTERE IN DISCUSSIONE UNA CULTURA. A PROPOSITO DELLE BATTUTE DELL'ON.CALDEROLI

Nei primi anni del novecento il medico saggista P. J Moebius pubblicò a Vienna un libretto, intitolato “L’inferiorità mentale della donna”, che ebbe un successo strepitoso. Con assoluta convinzione scientifica, Moebius voleva dimostrare che il cervello delle donne era simile a quello dei negri che i colonialisti consideravano mentalmente inferiori alla “razza bianca”. Suggeriva alle famiglie e agli stati di risparmiare i soldi per l’istruzione dei negri e delle femmine. Oggi, nell’anno 2013, un deputato dell’Italia repubblicana, parlando a un raduno leghista nel Nord, ha paragonato la ministra Kienge di origine africana a una scimmia orango e dichiarato che potrebbe fare bene il ministro in Congo, suo paese di nascita. Quel deputato si chiama Calderoli, è mediamente istruito e fa parte dello stesso partito, la Lega Nord, della dirigente padovana che poco tempo fa ha invocato lo stupro della Kienge per farle sperimentare l’esperienza di violenza sessuale subita da una donna per opera di un immigrato. Ora c’è chi, come Gad Lerner (La Repubblica, 15 lug.) chiede le dimissioni di Calderoli. Lui, nelle pagine dello stesso quotidiano, risponde che non ci pensa proprio. E ha ragione. Chissà quanti/e l’hanno applaudito quando ha sproloquiato a Bergamo all’incontro leghista, perché in fondo il pensiero dell’austriaco medico Moebius attraversa ancora le menti europee; soprattutto dell’Europa del Sud. Con il chiederne le dimissioni -perché offende le istituzioni- certo ci si appella all’art. 3 della Costituzione, ma si finisce per sottrarre importanza sociologica alla cultura che permea ancora l’italianità razzista e misogina. Che si manifesta anche nel padre napoletano che uccide il fidanzato della figlia perché non gli aggrada, si arroga in fondo l’antico diritto di proprietà dei figli /e della moglie. Quattro giovani marocchini un mese fa a Brescia hanno importunato una ragazza che stava con il partner. Alcuni giorni dopo hanno di nuovo incontrato il ragazzo e l’hanno assalito e malmenato. In questi giorni estivi alcuni ragazzi dell’est Europa, sempre a Brescia, hanno inviato direttamente all’ospedale il partner di un’altra ragazza da loro pesantemente importunata e da lui difesa. Sono episodi che fanno parte di un’antica storia di comportamenti segnati dalla cultura patriarcale, che permane intatta nelle pieghe di una società; per tanti aspetti profondamente cambiata. Cambiamenti intollerabili come l’emancipazione femminile che può portarle fino a qualche ministero. Se poi si tratta di donne provenienti dalle ex colonie, a molti scoppia la testa e così fuoriescono le “battute”. Una battuta, una semplice battuta, ha detto lo stesso Calderoli e gli hanno fatto eco i leghisti. Ai tempi del razzismo americano degli anni sessanta e settanta, gli afroamericani reagivano anche molestando le donne bianche fino allo stupro. Non pensavano di offendere le donne, bensì i loro mariti, padri, fidanzati ritenuti i proprietari dei loro corpi. Gli emigrati maschi e i maschi autoctoni probabilmente applicano inconsapevolmente lo stesso dispositivo culturale in offesa e in difesa. Il 15 giugno a Ballarò un’anziana antropologa di nome Amalia Signorini, ha raccontato una sua ricerca per dimostrare che Berlusconi “ha sdoganato il machismo all’italiana e la prostituzione”: facendo uscire dal chiuso dei bar o delle feste, le battute dei maschi italici sulle donne. Legittimando anche pubblicamente i comportamenti machisti. Le parole, l’analisi dell’antropologa a Ballarò infastidì molto l’ex ministra dell’Istruzione M.Gelmini. Si capisce: per la prima volta in una trasmissione politica non si sentiva soltanto parlare, e ragionare, in politichese. Insomma, era stato fatto un po’ di spazio alla cultura con la C maiuscola. E’ questo che occorre fare, subito. Le dimissioni fanno parte delle cure palliative.

lunedì 8 luglio 2013

"NON PIU' MADRI, NON PIU' MOGLI, NON PIU' FIGLIE,DISTRUGGIAMO LE FAMIGLIE" .ERA UNO SLOGAN FEMMINISTA

Il 16 marzo 1976 il Senato affossa la legge sull’aborto. Nel giro di due giorni le femministe organizzano una manifestazione a Roma, con partenza da p.zza Esedra, sosta prevista davanti alla sede della Democrazia Cristiana a p.zza Del Gesù e conclusione a p.zza. E’ un successo innegabile, anche la Tv di Stato trasmette anche una ripresa in video. Circa cinquantamila donne avevano raggiunto Roma con ogni mezzo e tanti striscioni e oggetti da usare come strumenti musicali. In una lettera a un’amica del 6 aprile -emersa dal fondo di un baule- racconto, entusiasta, questa esperienza: (…) Quando io ,la Franca e un’altra siamo giunte a Roma Termini, in piazza Esedra c’erano alcune centinaia di compagne. Abbiamo pensato che non sarebbe stata una cosa grossa e invece, alle 16, quando il corteo è partito per raggiungere le compagne dell’Udi a p.zza Maggiore, si è visto che eravamo tantissime. Striscioni, fiori, cartelli, fogge folk, fazzoletti rossi, mani alzate nel segno femminista, pugni elevati e un ritmare o cantare continuo di slogan. Quando siamo giunte a p.zza Del Gesù, davanti al palazzo della Dc presidiato dalla polizia con caschi e scudi, gli slogan incenerivano l’aria: “Sì, sì, abortiamo la D.C. ”Crac, crac abortiamo pure Zac “, “Hanno eletto Zaccagnini per gli aborti clandestini”, “Paolo Sesto fatti i cazzi tuoi, (non i fatti tuoi, come ha scritto il Corriere Della Sera!) che il nostro corpo ce lo gestiamo noi”. E poi: “Non più madonne, non più puttane, finalmente siamo donne”. “Fuori le donne che hanno abortito, dentro la D.C. e tutto il suo partito”. Lo slogan più giovane, inventato dalle giovanissime: “Non più madri, non più mogli, non più figlie, distruggiamo le famiglie”. Ogni tanto un gruppo improvvisava un girotondo e uno ha addirittura sequestrato nel mezzo un prete in tonaca nera; un altro due vigili del fuoco. Chi dice ancora che il movimento femminista è un fatto minoritario? La cosa favolosa è questa capacità di mobilitazione in due giorni e questa fantasia nel dar vita a cortei non bui, severi, rigidi come talvolta quelli maschili. La domenica seguente all’attivo femminista del Pdup, le rappresentanti dei coordinamenti erano circa trecento; sono contenta di esserci stata. E tu, che l’estate scorsa hai letto il libro sulle streghe, puoi capire lo slogan di tutte le manifestazioni femministe: “Tremate, tremate, le STREGHE son tornate”. Molte dicevano: “è il nostro ’68!”. Nel corso del corteo uomini giovani o maturi, compagni e non, guardavano attoniti, smarriti e distrutti.”