lunedì 16 dicembre 2013

A PROPOSITO DEL VELO ISLAMICO E DEL DIALOGO INTERRELIGIOSO

Un dialogo si può ritenere tale se si resta nelle strettoie della dottrina religiosa, del discorso di fede, senza l’apporto di altri saperi come la sociologia, l’antropologia e non ultima, la psicologia? Su Facebook è stato postato un montaggio, dove si vede una donna musulmana alla quale il marito offre, con la sua mano, l’acqua di una fontana e, sotto, l’immagine di un contadino occidentale seguito da una donna piegata da robuste fascine di legna sulla schiena. Seguono i commenti e una ragazza convertita all’Islam scrive: “Ecco questa immagine spiega chiaramente che mentre vi fanno credere il contrario, le cose stanno così. Nella prima immagine si vede una donna Musulmana che viene trattata da regina dal marito, invece nella seconda si vede la moglie che sta lavorando per il marito, mentre lui se ne frega. Gli uomini occidentali hanno solo offeso la dignità delle donne occidentali mettendole nude su riviste ecc. Fortunatamente io come tante altre donne, convertite all’Islam, ci siamo salvate.” Un’altra convertita aggiunge:” Io x esempio ho notato che prima che indossassi il velo mi guardavano in tanti. Dopo molti musulmani stranieri se mi vedono passare abbassano letteralmente lo sguardo. Questo é rispetto.” Va per la maggiore lo spartiacque tra donne per-bene e donne-per-male : le prime, con la copertura del capo e del corpo evitano di provocare gli uomini e le seconde invece sono succubi delle voglie maschili istintuali che volentieri le denudano e usano. Le prime sono le pure, le seconde sono le impure. “Copriti!” Urlavano le madri alle bambine discole perlomeno fino agli anni settanta anche in Italia. “Arriva pura al matrimonio”, continuavano a partire dalla pubertà. E’ la dicotomia puro/impuro, sacro e contaminato che, soprattutto nelle religioni monoteiste, ha delimitato i luoghi e i corpi delle femmine. Un italiano : “comprendo il post : vuol dire che molto spesso si accusano i mussulmani di trattare male le donne, quando noi occidentali non siamo da meno. Ne abbiamo offeso la dignità sbattendole nude su riviste o calendari, ne abbiamo offeso la dignità trattandole come oggetto di piacere e infine non siamo così teneri verso di loro visto che la violenza sulle donne non è qualcosa che è poi così lontano dal nostro essere occidentali.” Sembra sia diventato necessario, nel presunto “dialogo interreligioso “, compiacere, da parte di uomini e donne occidentali e cristiani, i musulmani e le musulmane, evitando accuratamente di approfondire culturalmente comportamenti e valori. Forse risponde al timore, talvolta inconscio, di essere tacciati di mancata tolleranza e, peggio, di rifiuto. E’ appena stato pubblicato un libretto firmato da Nadia Zatti, giovane appena laureata in Scienze Politiche, con il titolo“Ho un cervello sotto il velo, il punto di vista delle donne musulmane” (ed. Cavinato, 2013) e con una prefazione di Issam Nujahed assai breve. Nella prefazione l’autore, Presidente del consiglio delle relazioni islamiche italiane, insiste sulle parole pregiudizio ed equivoco, che caratterizzerebbero il periodo che stiamo vivendo e che impedirebbero di comprendere “il vero significato del velo nell’islam”. Alcuni capitoli l’autrice li dedica a descrivere i vari tipi di velo, il velo nel Corano e il femminismo islamico. Nulla di nuovo perché ormai tanto si è scritto in proposito. Seguono i capitoli sui musulmani in Italia e la descrizione della metodologia della ricerca. Infine, da pag. 31 a pag. 55, le interviste e le conclusioni. Le donne intervistate abitano a Brescia, uno dei capoluoghi e tra le province, a maggiore intensità rispetto alle presenze straniere. Le giovani hanno un’età compresa tra i 20 e i 40 anni, sposate o nubili. N. Zatti spiega la sua tesi : i pregiudizi descrivono le donne musulmane “come deboli, sottomesse e sfruttate dagli uomini, che le costringono a rimanere in casa e le obbligano a coprirsi.” Mentre “in realtà si tratta di donne forti e coraggiose pronte a combattere per i propri ideale e le proprie convinzioni, donne preparate e intelligenti che credono in quello che fanno e nella possibilità di poter dare il loro contributo al miglioramento di questo nostro Paese.” Le donne intervistate sono marocchine o egiziane. E quindi, tanto per osservare, l’autrice non ha intervistato (o potuto intervistare ?) donne della numerosa presenza pakistana nella provincia bresciana. Che le donne oggetto dell’intervista, studentesse o lavoratrici siano libere e consapevoli , emerge chiaramente dalle loro caratteristiche, ma generalizzare pare un po’ azzardato. Chi opera nei consultori o in altre istituzioni sociali e sanitarie, conosce una realtà più composita: ci sono donne musulmane, di etnie diverse originarie dell’Africa o dell’Asia, che vivono nell’ambito ristretto delle reti famigliari e, per esempio, anche dopo tanti anni ancora difficoltà con la lingua italiana. Perché non si cerca di analizzare i motivi della reclusione, di fatto, di tante donne nell’ambito privato o al massimo della comunità religiosa di provenienza? Le ragazze intervistate dalla giovane autrice del libretto, narrano la scelta del velo come “il frutto di una meditata e profonda scelta di fede, per rispondere a una richiesta che viene direttamente da Dio per mezzo del testo sacro del Corano e confermato dagli Hadith e dalla Sunna.” Il cambiamento, rispetto alle madri nate e cresciute nei territori di provenienza, si caratterizza come passaggio da un mettere il velo a causa della tradizione culturale o familiare, a una consapevolezza del suo significato profondo, ritenuto “fondamentale della loro religione del loro essere musulmane credenti”. Ed è così, se si pensa alle giovani nate o cresciute in Italia e scolarizzate fino alla scuola media superiore e oltre; o almeno a un buon numero di loro. Si evita di considerare la realtà del condizionamento familiare; che non necessariamente sia esplicito mediante proibizione o imposizione. Nel mondo culturale non influenzato dall’Illuminismo, prevale ancora la comunità sull’individuo. Nel mondo culturale islamico, più che in altri, il corpo delle donne è simbolicamente determinante per la coesione e l’identità delle comunità. Si evincono anche dalle spiegazioni dell’uso del velo come espressione di modestia, pudore, purezza e vicinanza a Dio…e come apparenza esteriore. Gli occhi degli uomini, nello spazio pubblico, non devono vedere i corpi erotici femminili proprietà degli uomini di casa. Le donne velate danno il messaggio latente dell’esistenza delle comunità integrate fino ad un certo punto, come vuole la tendenza neotradizionalista, per esempio dell’UCOII (l’associazione colturale delle comunità islamiche in Italia) che governa la maggioranza dei centri culturali islamici e delle moschee in Italia. Lo dice Cadigia, il velo: “Ha il compito di proteggerci dagli sguardi altrui, non provocandoli con il nostro corpo “. E Amina: “è altresì un segno distintivo e di differenziazione, un modo per distinguersi dalle scelte delle donne occidentali che delle volte utilizzano il corpo per raggiungere i propri obiettivi e ricavarne dei profitti “. Il libro vorrebbe aiutare a superare i reciproci pregiudizi, ma quest’ultima, superficiale e assai diffusa, convinzione sulle donne occidentali, sembra essere semplicemente avvalorata. Per ultimo è descritto l’ottimo lavoro svolto da un parroco bresciano, che è stato anche presidente della Caritas, di apertura dei locali della sua parrocchia anche agli islamici. La sua parola chiave è apertura. Don Fabio Corazzina ha fatto questa scelta …pragmatica ed ecumenica mediante anche le feste, i laboratori di dialogo, i doposcuola ecc. Un dialogo si può ritenere tale se si resta nelle strettoie della dottrina religiosa, del discorso di fede, senza l’apporto di altri saperi come la sociologia, l’antropologia e non ultima, la psicologia? dal PAESE DELLE DONNE

mercoledì 11 dicembre 2013

QUALCHE CONSIDERAZIONE SULLA VITTORIA DI MATTEO RENZI

A Ballarò (9 dic.) un cartellone evidenziava l’aggiornamento dei consensi: quelli per i politici stavano in fondo alla lista, con un magrissimo 2 per cento. Due per cento di favore alla politica! I manifestanti del “movimento dei forconi” bloccano le strade con camion e trattori, ripetono che i politici devono “andare a casa” e i parlamentari lasciare il parlamento. Qualcuno ha anche urlato minaccioso che, “altrimenti li andremo a cacciar noi con i fucili”. Non si respira un’aria buona dalle parti dell’Italia democratica, nata dalla lotta partigiana e antifascista, in questi giorni post elezione del giovane Renzi. Man mano che trascorrono i giorni dalle primarie del PD che ha visto circa tre milioni di votanti, aumentano le dichiarazioni di chi dice di aver dato la preferenza al sindaco di Firenze per provocare “un cambiamento” non meglio identificato. Certamente è da intendersi che al posto di una classe-casta inamovibile e, oggettivamente, su di età, la “gente” vorrebbe provare i giovani. Matteo Renzi, gli dice Berlusconi, è un comunicatore. Detto dal cavaliere ex senatore, vuol dire comunicatore televisivo. E’ la TV a dettare le regole della comunicazione ormai da molti decenni. Poca importanza, in questo tipo di comunicazione post moderna, hanno i contenuti. La gente italica non legge libri e tantomeno i quotidiani, ha ricevuto una formazione scolastica nozionistica, retorica e superficiale. Intende “la politica” come regia per i propri interessi, anche se, educata dal catechismo cattolico, qualche volta mostra inclinazione e vago interesse per il prossimo. In questo momento storico di caduta del tenore di vita di un numero in crescendo di individui e famiglie, la tolleranza per i politici parolai e imbroglioni che hanno governato, la gente comincia a reagire scompostamente e chissà come andrà a finire. Anche perché, ormai dimenticato il fascismo dai vecchi e dai giovani appreso alla pari delle guerre puniche, ottiene un certo successo l’invito di Grillo a dare l’ostracismo ai giornalisti che esprimono critiche nei riguardi del suo (suo!) movimento politico. Comunque, chi non comunica secondo i moderni canoni non può pensare di ottenere consenso. Cuperlo, con la sua sapienza e serietà, ma con il piglio da ufficiale austroungarico, ha messo in scena il vecchio apparato di ascendenza PCI e ha perso. Matteo Renzi gioca con le parole come fanno tutti i giovani, ma evita o non conosce lo stile dei vecchi politici chiamato politichese. Però in realtà, come i suoi colleghi rottamati, sa ch bisogna accarezzare la gente per il verso giusto, che è quello di dire soltanto ciò che vogliono sentirsi dire. Cuperlo non ha sfondato neppure in Emilia-Romagna, dove il pragmatismo tradizionale da tempo , sotto l’influsso della televisione berlusconiana e l’individualismo da economia globalizzata all’insegna del neo liberismo, ha abbandonato le tematiche dell’egualitarismo e della solidarietà. La Sinistra emiliano romagnola segnata, sotto traccia ,dall’antropocentrismo cristiano,ha consumato suolo agricolo, boschivo ,ecc. per il profitto da cemento esattamente come nelle altre regioni leghiste e berlusconiane. E’ un esempio. E così, il “popolo” è andato in massa a dare la preferenza a Renzi senza chiedersi di che cosa è fatto il suo pensiero economico, per esempio. D’altronde I cittadini sono esasperati dalla crisi economica che morde sempre di più erodendo salari e pensioni, mentre i politici regionali e nazionali, magari si aumentano gli emolumenti o fanno spese personali pagate dalle casse delle Regioni. Scrive La Voc.Info (6dic.) a firma di Roberta Perotti: Nel dicembre 2012 il governo Monti impose un tetto alla remunerazione dei consiglieri regionali: la somma di indennità, diarie e rimborsi a forfait non avrebbe dovuto superare gli 11.100 euro lordi mensili per un consigliere senza altre cariche. Incredibilmente, alcuni consigli regionali sono riusciti a cogliere l’occasione per aumentare gli emolumenti netti ai propri consiglieri. COME TI FACCIO IL TRUCCO IN PIEMONTE … A posteriori, il trucco è di una semplicità disarmante: si riduce l’emolumento totale, in modo che non superi gli 11.100 euro. Ma si riduce di molto l’indennità, che è tassabile, e si aumenta la diaria, che è un rimborso a forfait, quindi di fatto un reddito non tassabile. Al netto delle tasse, ora un consigliere guadagna di più. Yoram Gutgeld è il consigliere economico di Renzi: Se Renzi fosse premier e Yoram Gutgeld fosse il suo ministro dell'Economia, ecco il programma che gli italiani si ritroverebbero di fronte. "Abbattimento shock da 20 miliardi delle tasse con i proventi delle privatizzazioni di Poste, Ferrovie, Rai, municipalizzate e dei campioni nazionali quotati; rinuncia alla Tav; lotta all'evasione con l'eliminazione del denaro per i pagamenti tra imprese; 4 miliardi di euro dal ricalcolo delle pensioni sopra i 3.500 euro; contratto unico stabile senza articolo 18 per i lavoratori". Ad elencare i punti salienti dell'ipotetico ticket in un'intervista a Italia Oggi è lo stesso Gutgeld, consigliere economico del sindaco di Firenze e autore di un libro ("Più uguali, più ricchi") in cui espone il pensiero economico di McKinsey, a sua volta ispiratore della dottrina renziana. Gutgeld privatizzerebbe subito Poste e Ferrovie, e farebbe lo stesso anche per la Rai. "Sono dell'idea di privatizzare quello che ha senso privatizzare", spiega. "Abbiamo già 10 municipalizzate quotate. Il problema sono le piccolissime aziende. Sono troppo piccole perché le si possa valorizzare. Sarebbe meglio metterle sul mercato dopo aver creato soggetti più grandi, procedendo al loro accorpamento". Quanto alle pensioni, se diventasse ministro Gutgeld taglierebbe le pensioni da 3.000-3.500 euro lordi. "Non farei cose popolari, lo dico subito", dice nell'intervista. "Siamo il primo bancomat d'Europa nella previdenza. Abbiamo una quota spesa pensionistica di circa 50 miliardi non coperta da contributi versati. C'è una quota importante di pensioni inferiori a 1.000 euro che non possono essere toccate. Ce ne sono però anche più alte e c'è una fetta di pensioni superiori ai 3.000 euro cui non corrispondono contributi versati. (L’HUFFINGTON POST, 21 nov.2013) Un’intervista, per carità, ha dei limiti, ma un economista forse dovrebbe descrivere un programma un tantino più complesso, o no? Intanto nel Pd la nuova era è segnata sia dal pragmatismo sia da idee ormai lontane mille miglia dall’ideale di egualitarismo d’impronta socialista. Renzi dice molto di più la parola merito che egualitarismo. Scriveva un uomo su Face book rispondendo a chi sottolineava come ancora siano poche le donne in ruoli pubblici importanti: “ nessun problema, quando ci sono donne che hanno i meriti!”. Già, le donne devono dimostrare “il merito”, gli uomini non ne hanno bisogno. Negli anni cinquanta e sessanta poche giovani donne – a confronto dei coetanei maschi- proseguivano gli studi dopo le medie o l’avviamento professionale: non avevano “ i meriti”?