venerdì 24 agosto 2012

UNA STORIA INCOMPLETA NEL CENTENARIO DI MILANO MARITTIMA

Per quale motivo le celebrazioni del centenario della nascita di Milano Marittima esaltano il pittore Giuseppe Palanti a scapito dei fratelli Giacomo e Pietro Maffei? Una bella mostra ,molto curata e certamente di importanza nazionale, narra la vita e le opere del pittore milanese che realizzò nella pineta di Cervia il sogno dei milanesi di avere un mare e una spiaggia con il nome della loro città. In questa solerte narrazione illustrata anche con le opere del pittore e scritta e pubblicata in un catalogo, si conferma una censura le cui motivazioni per il momento restano inspiegate ; ma che riguardano, appunto, l’intero arco delle celebrazioni. Dunque, a pag. 33 del catalogo si legge che il Comune di Cervia , imitando quanto avveniva in altre località della costa romagnola a cominciare da Rimini, decide di darsi da fare per creare i presupposti del turismo balneare. Siamo nel 1907. Il Comune offre ai fratelli Giacomo e Pietro Maffei “una vasta zona di relitti marittimi , in destra e sinistra del porto canale, con l’obbligo del concessionario di fabbricarvi villini, parchi, giardini, ecc. per attirare su questa spiaggia una numerosa colonia balneare”. Ennio Nonni, l’autore del capitolo “Giuseppe Palanti urbanista” aggiunge : Questo paesaggio splendido ipnotizzò i Maffei a tal punto che per quattro anni non intervennero, fino a quando nel 1911, subentrò nell’iniziativa Giuseppe Palanti, che presentò il Piano Regolatore per il nuovo centro balneare di Milano Marittima.” Ma questo è inesatto. In “80 anni di….Cervia turistica”, libro raccolta di splendide fotografie , stampato nel 1990 a cura del circolo culturale G.Oberdan Cervia in collaborazione con il Cral Salina di Cervia, Gino Pilandri a commento delle foto in appendice, racconta un’altra storia a proposito dei Maffei. A commento della XXXVIII foto scrive: “I fratelli Maffei, titolari della concessione comunale successivamente trasferita alla Società di Milano Marittima, costruirono nel 1909 le due ville in linea con la Pensione Villa Igea che furono poi acquistate dalla famiglia Zanotti-Cavazzoni. La foto riporta le due ville (v.le C. Colombo) con sullo sfondo villa Igea e la dicitura Ville Zanotti. L’ing. Zanotti Cavazzoni le acquistò dai Maffei e successivamente le vendette. Una delle due è stata soltanto ristrutturata nel 1957 con un progetto dell’arch. Matteo Focaccia. L’altra ha subito un cambiamento radicale. PUBBLICATO SU LA VOCE DI ROMAGNA 18 AG.2012
"Villa Peppina" negli anni trenta. Le due ville Zanotti, ex Fr.Maffei e il restauro dell'arch.tto matteo Foccazia del 1957 di villa Peppina
.Le ceramiche sono di Riccardo GATTI (1886-1972) di Faenza.

lunedì 20 agosto 2012

DONNE VELATE. ESTATE AFOSA

Occhiello: la donna ha deciso di non denunciarlo. Titolo: Picchiata per il velo. Fa pace con il marito. Firmato da Fabio Albanese su La Stampa (19 ag.) Una notizia di quelle che sono lontane mille miglia dal classico esempio, per studenti di giornalismo. Fa notizia quella che suona così: un uomo ha morsicato un cane. E non viceversa. In altri termini: tutto secondo copione nazionale perché la violenza contro le donne dilaga. In questo caso riguarda una giovane donna quasi “seconda generazione “ perchè il padre è un tunisino e la madre un’agrigentina. La giovane si è innamorata di un ventunenne egiziano e si sono sposati, andando ad abitare a Torino dove lui lavora come operaio. Ma l’estate li richiama in Sicilia dove risiede ancora la famiglia di lei. Passeggiano sul lungomare quando lei, incinta, gli chiede il permesso di togliersi il velo che le copre il viso e il collo perché si sente soffocare a causa del caldo eccessivo di agosto. Lui rifiuta il permesso . Lei si strappa la velatura scatenando una violenta aggressione fisica. In ospedale, con 20 giorni di prognosi la dimettono ma la denuncia è scattata d’ufficio. Il perdono permette ilo ritiro. Intanto Papi Madoke Diop rappresentante della comunità senegalese di Agrigento, ha condannato la violenza sulla donna , precisando che non ha nulla a che fare con la religione e la cultura islamica. Ma nulla pare abbia detto e dichiarato a proposito del permesso accordato alla moglie di non velarsi in pubblico fino al termine della gravidanza. Perché di permesso secondo il giornalista, si tratta. Si evince che ci sono stati due sbagli : lui non doveva reagire picchiando la moglie, lei non doveva provocarlo disubbidendogli in pubblico. Ora i diversi ruoli : moglie obbediente, marito nel suo ruolo di comando, sono stati ripristinati; cioè è stato riconosciuto, implicitamente, il danno all’onore di lui. Il “namus”,l’onore familiare, deve prevalere sempre e tanto più nella condizione dell’emigrazione. La donna, il suo corpo, sono al servizio del namus. Agli uomini tocca il ruolo di far rispettare, sempre, l’onore familiare, soprattutto in pubblico. Inconcepibile è il rifiuto all’obbedienza in una concezione ancora patriarcale dei rapporti tra i sessi. La dinamica pubblico/privato nella cultura islamica diventa dentro/fuori e riguarda enormemente l’Islam in Europa. Cioè , il namus ,l’onore familiare, diventa centrale in tante comunità e si manifesta con un surplus di divieti, di limitazioni alla libertà e soggettività femminile. Tanto più in presenza spesso di tendenze a vivere come comunità separate per preservare abitudini, valori, ritualità e simboli. Le donne allora sono investite del compito di manifestare in pubblico, con l’abbigliamento, l’appartenenza e l’isolamento comunitario. Nella pubblicistica islamica si giustifica come rifiuto all’omologazione ai valori Occidentali che avrebbero eliminato la dicotomia puro/impuro e dentro/fuori. Si legge in un sito islamico: “La donna musulmana è, nell’immaginario collettivo, da sempre ,la ‘velata’. Il velo ,comunque, non è che il simbolo materiale di alcune caratteristiche morali che l’Islam incita a perseguire, e cioè l’onore, la dignità, la castità, la purezza e l’integrità.” In altri termini :” …la modestia nell’abbigliamento, obbligatoria anche per l’uomo, ha il compito di preservare l’integrità della donna ed il rispetto nei suoi confronti.”. Come dimenticare un luglio soleggiato e afoso a Instambul dove donne coperte dalla velatura nera fino a terra passeggiavano nei pressi della moschea Blue, con accanto i partner in calzoni colorati e camice corte? Come dimenticare un altro luglio a Petra (Giordania) arabi con la tunica bianca e donne con l’abaya nero?

venerdì 3 agosto 2012

A CERVIA UNA FIACCOLATA E UN CONSIGLIO COMUNALE PER SANDRA, LA PARRUCCHIERA UCCISA DALL'EX

Cervia: l’estate scorre veloce in tornate di caldo soffocante. Ombrelloni semivuoti punteggiano la vasta spiaggia, singhiozzano i ristoratori e non ridono i negozianti. E’ la crisi con il suo 34 % di giovani disoccupati, di calo dei consumi e di aumento degli avventori mense della Caritas. 2 agosto sera: tante donne e qualche uomo si trovano nella bella piazza settecentesca per una fiaccolata con il consiglio comunale al completo e il sindaco con la fascia tricolore. E’ trascorso poco tempo dall’uccisione a Milano Marittima della parrucchiera Sandra Lunardini per mano del suo ex compagno che si è poi suicidato con la stessa arma da fuoco che portava, pare, sempre con sé. La fiaccolata è stata proposta da Linea Rosa per ricordarla e non dimenticare facilmente che il femminicidio continua in questo Paese molto più che in altri dell’Europa cristiana. Subito dopo si riunisce il Consiglio comunale che ha all’o.d.g. anche la votazione della denuncia della violenza contro le donne e le misure da prendere. Alcuni consiglieri chiedono di parlare. La zona riservata al pubblico è colma di gente, molti in piedi. Il consigliere repubblicano Fantini dichiara di votare senz’altro a favore, ma con una precisazione che sostanzialmente ripete uno stereotipo assai diffuso tra la gente: gli uomini che arrivano a uccidere le donne con le quali hanno avuto o hanno una relazione, sono affetti da patologie. Punto. Patologie non meglio precisate, perché l’effetto da ottenere tutto nella parola pronunciata. La violenza contro le donne riguarda una minoranza di uomini affetti da patologie mentali. Punto. Depressione maggiore o bipolare, sindrome narcisistica, paranoia…. Il consigliere ha ottenuto, o creduto, l’effetto desiderato, più o meno consciamente: non è un problema di cultura, di mentalità fondata su tradizioni forti e persistenti. Per esempio, quella cultura che relega le donne nella sfera del privato o, nella modernità più recente, sottilmente le colpevolizza se si permettono di sottrarre troppo tempo alla cura della casa, dei figli, del marito, dei suoceri, ecc., per “dedicarsi” alla cura di sé. Quella cultura che spinge le madri a enfatizzare la dedizione ai figli maschi confermandone a dismisura il narcisismo primario. Quella cultura scolastica e famigliare che trasmette ed educa ancora alla costruzione di identità polarizzate su le immagini di uomo legittimamente aggressivo e razionalmente forte, di donna razionalmente debole e tendenzialmente passiva e fortemente oblativa. Una cultura della Tv della Pubblicità dove i corpi delle donne sottostanno al desiderio maschile. Donne che imparano da bambine a misurarsi sul desiderio altrui. Le cose però stanno cambiando perché c’è stato un possente movimento delle donne che ha contribuito a mettere un po’ in discussione le identità di genere tradizionali. E così accade che siano le donne a rompere relazioni insopportabili. Appunto, iniziative spesso difficili da reggere per quell’eterna tendenza a sentirsi figli incondizionatamente amati dalle mamme e dalle mogli-mamme . Anche perché mettono in la certezza del proprio diritto (ancestrale) al possesso delle femmine e alle regole dello scambio tra maschi. Dunque, non si tratta di menti malate, bensì di menti che non reggono la crisi d’identità maschile, i cambiamenti rispetto ai ruoli sessuali tradizionali. Nevrosi direbbe Freud, al massimo. Dimenticavo l’omicida era un bresciano di sessanta anni. La stampa locale ha intervistato i suoi concittadini. Interessante alcune risposte: “Ma se era un così brav’uomo; andava spesso all’oratorio."