lunedì 20 agosto 2012

DONNE VELATE. ESTATE AFOSA

Occhiello: la donna ha deciso di non denunciarlo. Titolo: Picchiata per il velo. Fa pace con il marito. Firmato da Fabio Albanese su La Stampa (19 ag.) Una notizia di quelle che sono lontane mille miglia dal classico esempio, per studenti di giornalismo. Fa notizia quella che suona così: un uomo ha morsicato un cane. E non viceversa. In altri termini: tutto secondo copione nazionale perché la violenza contro le donne dilaga. In questo caso riguarda una giovane donna quasi “seconda generazione “ perchè il padre è un tunisino e la madre un’agrigentina. La giovane si è innamorata di un ventunenne egiziano e si sono sposati, andando ad abitare a Torino dove lui lavora come operaio. Ma l’estate li richiama in Sicilia dove risiede ancora la famiglia di lei. Passeggiano sul lungomare quando lei, incinta, gli chiede il permesso di togliersi il velo che le copre il viso e il collo perché si sente soffocare a causa del caldo eccessivo di agosto. Lui rifiuta il permesso . Lei si strappa la velatura scatenando una violenta aggressione fisica. In ospedale, con 20 giorni di prognosi la dimettono ma la denuncia è scattata d’ufficio. Il perdono permette ilo ritiro. Intanto Papi Madoke Diop rappresentante della comunità senegalese di Agrigento, ha condannato la violenza sulla donna , precisando che non ha nulla a che fare con la religione e la cultura islamica. Ma nulla pare abbia detto e dichiarato a proposito del permesso accordato alla moglie di non velarsi in pubblico fino al termine della gravidanza. Perché di permesso secondo il giornalista, si tratta. Si evince che ci sono stati due sbagli : lui non doveva reagire picchiando la moglie, lei non doveva provocarlo disubbidendogli in pubblico. Ora i diversi ruoli : moglie obbediente, marito nel suo ruolo di comando, sono stati ripristinati; cioè è stato riconosciuto, implicitamente, il danno all’onore di lui. Il “namus”,l’onore familiare, deve prevalere sempre e tanto più nella condizione dell’emigrazione. La donna, il suo corpo, sono al servizio del namus. Agli uomini tocca il ruolo di far rispettare, sempre, l’onore familiare, soprattutto in pubblico. Inconcepibile è il rifiuto all’obbedienza in una concezione ancora patriarcale dei rapporti tra i sessi. La dinamica pubblico/privato nella cultura islamica diventa dentro/fuori e riguarda enormemente l’Islam in Europa. Cioè , il namus ,l’onore familiare, diventa centrale in tante comunità e si manifesta con un surplus di divieti, di limitazioni alla libertà e soggettività femminile. Tanto più in presenza spesso di tendenze a vivere come comunità separate per preservare abitudini, valori, ritualità e simboli. Le donne allora sono investite del compito di manifestare in pubblico, con l’abbigliamento, l’appartenenza e l’isolamento comunitario. Nella pubblicistica islamica si giustifica come rifiuto all’omologazione ai valori Occidentali che avrebbero eliminato la dicotomia puro/impuro e dentro/fuori. Si legge in un sito islamico: “La donna musulmana è, nell’immaginario collettivo, da sempre ,la ‘velata’. Il velo ,comunque, non è che il simbolo materiale di alcune caratteristiche morali che l’Islam incita a perseguire, e cioè l’onore, la dignità, la castità, la purezza e l’integrità.” In altri termini :” …la modestia nell’abbigliamento, obbligatoria anche per l’uomo, ha il compito di preservare l’integrità della donna ed il rispetto nei suoi confronti.”. Come dimenticare un luglio soleggiato e afoso a Instambul dove donne coperte dalla velatura nera fino a terra passeggiavano nei pressi della moschea Blue, con accanto i partner in calzoni colorati e camice corte? Come dimenticare un altro luglio a Petra (Giordania) arabi con la tunica bianca e donne con l’abaya nero?

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