Cosa facevano gli insegnanti dopo la seconda guerra mondiale quando le differenze per censo erano evidenti ed abissali? Orientavano in modo diverso , inconsapevolmente, i ragazzi e le ragazze per il proseguimento degli studi, che a quei tempi includeva subito il dopo scuola elementare. L’essere femmina, unitamente alla scarsità di mezzi economici della famiglia, portava gli insegnanti a favorire l’iscrizione all’avviamento professionale industriale o commerciale al posto delle medie. Più o meno significava avere preclusa la possibilità di scegliere, eventualmente, qualsiasi scuola superiore.Tanto per le bambine il destino era segnato: trovare a suo tempo un marito che le mantenesse. Genitori e insegnanti si trovavano amorevolmente d’accordo.
NEODEMOS, interessante giornale online di ricercatori e docenti , ha segnalato che qualcosa del genere attualmente accade, ma per gli stranieri , o meglio per le seconde generazioni.
Rita Fornari e Stefano Molina ( Università della Sapienza Roma, Fondazione Giuovanni Agnelli) hanno pubblicato un articolo ( 6/10/2010) su’ I FIGLI DELL’IMMIGRAZIONE SUI BANCHI DI SCUOLA: UNA PREVISIONE E TRE CONGETTURE.
Le nascite in Italia da genitori stranieri hanno subito un’accelerazione in seguito alla Bossi-Fini del 2002/03 che comportò la stabilizzazione legale, lavorativa, abitativa,ecc.. Così ,con l’anno scolastico appena terminato si sono affacciati alla soglia della scuola i figli di quel baby boom.
Che cosa accadrà nei prossimi anni? Tanto per cominciare un dato di attualità : il ritardo e l’insuccesso per i giovani studenti stranieri alle superiori oltrepassa il 70% a fronte di una percentuale infinitamente inferiori dei nativi. I due studiosi scrivono che di questo di si parla poco. Vero. Come si parla poco degli insegnanti, i quali saranno chiamati a “ ricalibrare l’elasticità del metro di valutazione, così come ripensare la funzione di orientamento , oggi volta ad incanalare i giovani stranieri verso gli indirizzi professionalizzanti (rispetto a uno studente italiano, al termine delle medie uno straniero ha il doppio di probalità di finire in un istituto professionale. “. Più chiaro di così!
Ma c’è un’altra considerazione: man mano che i giovani di seconda generazione cresceranno, diventeranno “sempre più evidenti e potenzialmente pericolose le frizioni tra l’enfasi della cittadinanza (in senso pedagogico) – sempre più diffusa nelle scuole- e le difficoltà di rispondere alla crescente domanda di cittadinanza italiana (in senso giuridico).”.
Direi che per certi versi qualcosa già indica situazioni emblematiche . Come si evince leggendo l’indagine 2010 dell’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la Multietnicità (Orim) della Lombardia. L’analisi si limita a sei gruppi nazionali e alla fascia di età compresa tra i 15 e 25 anni.
I cinesi frequentano (69%) dei connazionali, gli indiani un po’ meno (48%). Per gli altri si oscilla tra il 37 per cento dei rumeni e il 22 degli egiziani. Gli albanesi hanno una frequentazione equilibrata tra italiani e stranieri ( 51%). Seguono i latino-americani (48%). Un quinto degli egiziani si sente italiano, contro il 2 % dei cinesi.
Nel blog NUOVI ITALIANI il 17 giu.011 è uscita un breve intervista con alcuni giovani stranieri sul sentirsi ,o meno, italiani. C’è chi si sente totalmente della nazionalità dei genitori, c’è chi si sente al 100% italiano, chi si definisce un mix, chi lamenta una crisi di identità . Alessandra Coppola, che scrive di avere effettuato un piccolo viaggio nell’identità dei ragazzi di seconda generazione, riporta in conclusione il parere di Hafsa Ratib ,italiana di origini marocchine: “il giovane spesso non aiutato, anziché valorizzare la sua doppia identità si sente costretto a scegliere se essere italiano o arabo, una contrapposizione inutile. Un conflitto interno che tanti giovani vivono e che se non gestito può portare a problemi adolescenziali e all’esclusione sociale.”. Come darle torto?
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento