Le letture dell'estate sono assai istruttive , ma non sempre rilassanti. A volte ti inquietano il sonno notturno e i sogni. L'articolo "Tra rovine vecchie e nuove" di Paolo Rumiz su La Repubblica (25 ag.) di inquietudine e rabbia ti riempie.
Racconta il suo viaggio a l'Aquila e il suo incontro con il paesaggio devastato . Arrabbiato anche lui si lamenta di questa nazione che non riesce a sviluppare una vera politica della prevenzione dei terremoti e che coltiva un'incultura del territorio con cronica persereveranza. Il nostro è un territorio sismico per eccelllenza, ma una conseguente civiltà dell'abitare non esiste. Si capisce al volo "che le sue macerie non sono fatalità ma crimine, un'omissione che altrove manderebbe in galera generazioni di capi di governo. Non esiste Paese viluppato dove un terremoto di magnitudo 5,9 faccia tanti morti.".
L'Abruzzo? "regione matrigna, terra che rinnega la montagna, cioè se stessa. Via i pastori, via gli eremi, i tratturi, Celestino V. Roba vecchia, inutile. Il resto è cemento. Niente più verde sul mare.".
Mi viene in mente una delle poche ville ancora in piedi degli anni trenta a Milano Marittima, salvata, si fa per dire, ma soffocata tra nuovi cementi. Ancora negli anni settanta le foto aeree dal mare mostravano ampi spazi di pineta dove ora ci sono soltanto costruzioni di alberghi e case senza un briciolo di verde. Una politica del territorio insensata ovunque, indipendentemente dal colore delle amministrazioni. Ma allora , una domanda ce la vogliamo fare? Essere di Sinistra o di Destra perchè conta così poco nelle politiche del territorio? E non soltanto.
martedì 25 agosto 2009
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